lunedì 12 maggio 2014

Essere fratelli


“Bart si sedette in poltrona e i due fratelli si guardarono. Li unì il medesimo sorriso ,un misto di tenerezza e ironia "grazie per tutto" disse Simeon ".

Tra i due fratelli c'è un buon rapporto e Simeon vuole bene a Bart perché lo aiuta nei momenti in cui ha bisogno soprattutto, ma anche perché ci tiene a suo fratello. Questi sono alcuni aspetti fondamentali e necessari in un rapporto tra fratelli: aiutarsi nei momenti più difficili della vita come hanno fatto Bart e Simeon, essere altruisti, sinceri e avere fiducia l'uno con l'altro. Non tutti i fratelli vanno d'accordo, perché a volte ci sono discussioni dovute a possibili differenze di opinioni, pensieri e ideologie che provocano forti divergenze che a volte possono fargli allontanare fra di loro, ma il problema che si è creato tra  loro può essere risolto attraverso un serio e costruttivo dialogo in cui è possibile risolvere i vari problemi. Ma anche se litigano, i fratelli, alla fine fanno sempre la pace, perché tra  loro c'è un forte legame.


Francesca Muraro.

venerdì 2 maggio 2014

E così i nodi vengono al pettine




‘‘So che lei è contraria,’’ cominciò ‘‘ma credo che una terapia familiare sarebbe...insomma, almeno un incontro familiare per discutere della custodia e tutto...Bisognerebbe che ognuno dicesse la sua perché, ecco, anche i bambini hanno il diritto a esprimersi anche se, insomma, non sta a loro decidere...’’

Alcuni la definiscono un’unità, altri un raggruppamento. Per ciascuno di noi rappresenta qualcosa di diverso e occupa posizioni differenti nella vita. Di cosa sto parlando? Della famiglia!
Ai tempi dei Romani essa aveva un grande valore, era addirittura considerata l’istituzione sociale e politica per eccellenza. Larghi gruppi di consanguinei guidavano la società e ognuno sentiva un forte senso di appartenenza alle proprie radici. L’albero genealogico non veniva troncato o lasciato a marcire, poiché raccontava la storia degli individui, spiegava chi sono e perché. Al giorno d’oggi, invece, alla famiglia viene attribuita sempre meno importanza e ovunque si vada giungono notizie di coppie separate, genitori divorziati e aumento dei single. Ogni giorno vengono distrutte sempre più realtà familiari, solcando le anime per il resto della vita e sgretolando i pilastri di certezze che si erano costruiti insieme poco a poco. E notizia dopo notizia, la gente ci si abitua e questa situazione di deterioramento della società appare agli occhi delle nuove generazioni quasi normale, accettabile. Ma cosa vuol dire non avere più una spalla su cui poggiarsi, una mano a cui aggrapparsi, un abbraccio in cui rifugiarsi?
Tutti noi nei momenti di sconforto desideriamo sentire le parole rassicuranti dei nostri cari, la loro voce affettuosa, percepire il calore e l’affetto che emanano semplicemente con la loro presenza. Ma sempre più bambini si trovano privati di tutto ciò. Conflitti familiari, incomprensioni, separazioni...sono la causa di grossi problemi che però non saltano mai fuori, restano nel cuore e nei pensieri di creature che dovrebbero invece vivere il periodo più bello della loro esistenza. Per gli adolescenti è ancora più difficile: sono cresciuti, ma rimangono pur sempre bambini. O almeno così dovrebbe essere, perché proprio a causa delle crepe in famiglia sono costretti a diventare adulti più in fretta. E così tensioni, litigi e parole non dette diventano una costante quotidiana.
Per cercare di far venire tutti i nodi al pettine e riallacciare finalmente dei legami, sempre più famiglie ripongono le loro ultime speranze nelle ‘‘terapie familiari’’, ovvero degli incontri in cui si riuniscono tutti i membri coinvolti per parlare e lasciar parlare. Parlare come da tempo non si faceva e lasciar parlare chi non ne ha mai avuto la possibilità. Dare finalmente la parola a quelli che soffrono maggiormente per la perdita dell’equlibrio familiare - i bambini - è un passo importante, perché già il fatto di essere ascoltati e considerati diminuisce il disagio e la sensazione di essere di troppo.
Queste terapie infatti sono rivolte proprio alle famiglie in cui uno o più componenti sono affetti da disagi psicologici, psicosomatici (ovvero psicologici ma legati anche alla funzionalità del corpo), fobici (come attacchi di panico, claustrofobia, ecc.), ma anche disturbi alimentari e altri problemi legati a situazioni stressanti, quali depressione, sbalzi d’umore, conflittualità familiari e difficoltà scolastiche e comportamentali. Tutto ciò ha in comune la psiche degli individui, perciò c’è sempre un psicoterapeuta che guida in qualche modo i discorsi, ponendo in questione degli aspetti di cui spesso si evita di parlare e facendo da mediatore tra coloro che non riescono neppure a guardarsi più negli occhi.
Negli incontri il problema viene contestualizzato e si cerca di comprenderlo osservandolo da più punti di vista, per poterlo poi fronteggiare nel migliore dei modi. Questa fase è piuttosto importante, perché spesso le famiglie che si trovano in difficoltà tentano delle soluzioni che però sostengono e alimentano il problema anziché risolverlo. Perché è l’approccio che fa la differenza.
Durante queste terapie, se ci sono dei bambini, è bene incorniciare la situazione con il gioco, in modo da creare un’atmosfera in cui si sentano sereni. Così, per mezzo di disegni, fiabe e così via, riescono ad esprimere in modo libero le loro paure, le angosce, le speranze, tutto in un contesto rassicurante grazie al quale il terapeuta ottiene informazioni preziosissime. Quando in mezzo c’è anche un adolescente diventa chiaramente più complicato, ma queste sedute (spesso svolte una volta alla settimana) possono essere di grande aiuto, in quanto attenuano i conflitti e le tensioni dovuti anche ai cambiamenti non solo fisici ma soprattutto psicologici della persona.
I bambini finalmente si liberano dei pesi che impedivano loro di vivere appieno, mentre gli adulti devono ascoltare con la massima attenzione per capire dove hanno sbagliato, per poi riuscire a mettere in atto dei cambiamenti negli schemi delle relazioni familiari, che spesso dopo molti anni risultano ‘‘rigide’’ e ripetitive, quando al contrario dovrebbero essere sempre flessibili proprio per adattarsi al meglio alle esigenze di tutta la famiglia.
Perché l’obiettivo è proprio quello di riportare in uno stato di benessere sia fisico che psicologico ogni membro, dal più grande al più piccolo, in modo da riequilibrare quella giostra che si era inclinata un po’ troppo. E qual è la causa di tutto ciò? Il mancato dialogo! La gente non parla più, sa solo scriversi su whatsapp e postare su faccialibro, rinchiudendosi in una bolla e innalzando un muro che nemmeno le persone più care riescono ad oltrepassare.

Ma dove finiremo se continuiamo così...? 

Vlada Kanawalawa.

HAMBURGER, HOT DOG E PATATINE FRITTE



“A mezzogiorno, partirono tutti e quattro per il fast-food. Venise dava la mano a Bart. Siméon e Morgane camminavano davanti, l’uno accanto all’altra"

Andare al fast-food significa andare in un locale dove si può consumare un pasto veloce, generalmente a base di patatine fritte, hamburger, hot dog e coca cola.
I fast-food nascono in America nei primi anni del ‘900, come risposta alla necessità di fornire pasti veloci, in piedi, senza posate, per chi aveva poco tempo da dedicare al pranzo.
Il fast-food più famoso in tutto il mondo è il Mc Donald’s, ma ce ne sono molti altri di famosi, come il Burger King.
Questi luoghi di ristorazione che negli anni si sono diffusi in tutto il mondo, non forniscono un’alimentazione sana, infatti è stato dimostrato che assumere cibi da fast-food è la prima causa del fenomeno dell’ obesità, di malattie al fegato e all’apparato cardiocircolatorio. Questo perché gli alimenti di questi locali sono ricchi di grassi e di zuccheri.
Come esperienza personale, non considero i fast-food il luogo prioritario in cui andrei a mangiare. Infatti qui in Italia ci sono stata solamente una volta, mentre quando ero in viaggio studio in Inghilterra, non avendo a disposizione la buona e vasta cucina italiana, sfruttavo i fast-food quasi ogni giorno.

In alternativa e in contrasto al fast-food, c’è lo slow-food: esso significa mangiare con ritmi meno frenetici, sedendosi ad un tavolo e soprattutto mangiando cibi più sani e  rispettando anche la tradizione culinaria. 

Laura Garulli

domenica 27 aprile 2014

Perchè no?


“Bart non voleva confessarle che era il nostro tutore. Ma siccome non lo è e non lo sarà mai...”
“E percheè?” chiese Léo.
“Perché è omosessuale. La giudice tutelare non lo permetterà.”
“Ma questo è razzismo!” gridò Lèo. “Bart verrebbe privato dei suoi diritti!”

Si parla spesso di discriminazione degli omosessuali. Perché? Non sono persone normali? Che differenza c’è? Nel 2013 in Francia è stata fatta la legge che permette alle coppie omosessuali (sia gay che lesbiche) di sposarsi e dando loro diritto anche di poter adottare bambini. Anche i single, sia gay che lesbiche possono adottare un bambino. Nel caso in cui essi poi andassero a convivere con un partner, nel caso non siano sposati, il partner può avere solamente una delega di patria potestà dal genitore avente diritto. Invece in Italia non è possibile l’adozione da parte di una coppia non sposata e, dal momento che non è consentito il matrimonio di persone dello stesso sesso, l’adozione da parte di coppie omosessuali non è possibile. Gli omosessuali sono umani, con un cuore, braccia e occhi. Trattarli come se fossero diversi è sbagliato, tutti hanno dei diritti, loro sono come noi.


Angela Tresso

mercoledì 23 aprile 2014

L'abbandono dei minori



“Sono stato abbandonato da mio padre” .”E ricomincia! Ma qui siamo stati tutti abbandonati da nostro padre”. “per me è peggio”. Si intestardì Bart. “non ha nemmeno voluto vedermi”.


L’abbandono dei minori è un tema che rappresenta una realtà purtroppo molto diffusa anche nella società attuale. Ci sono varie tipologie di abbandono, ad esempio totale assenza di un genitore a seguito di una separazione, oppure mancanza di entrambi i genitori che si disfano dei propri figli lasciandoli stabilmente in ricoveri o a persone esterne privandoli quindi di una crescita serena in un ambiente familiare e protettivo che gli garantisca così un’integrità fisica e psichica.
Ci sono numerosi casi riportati anche spesso dalla stampa, di ragazzine che si presentano in ospedale incinta e bisognose non solo di assistenza medica, ma soprattutto psicologica.  Una volta avvenuta la nascita non vengono riconosciuti dai genitori e la causa  molto spesso è dovuta a condizioni sociali ed economiche precarie.
Nella maggior parte dei casi quindi gli abbandoni neonatali sono di mamme troppo giovani che non sono in grado di assumersi una responsabilità così grande. La legge comunque prevede che da quando il bimbo nasce vi sono 10 giorni di tempo per il riconoscimento, questo per dare la possibilità ad un eventuale ripensamento. Se questo non avviene il tribunale dei minori darà un nome e cognome di fantasia ed il bambino  potrà essere adottabile. Per tutte quelle situazioni di particolare disagio alle mamme minorenni viene offerta la possibilità di un rifugio per sei mesi  in strutture protette assieme al figlio per dare la possibilità alla giovane madre di decidere con più tranquillità.
Il problema dell’abbandono molte volte è connesso a quello dell’aborto che, spesso, ha cause simili, la situazione dell’abortività  giovanile in Italia è meno grave che in altri Paesi, ma ci mettono in guardia in quanto l’Italia si avvia verso  un inesorabile declino morale ed educativo.

Riccardo La Iacona 

lunedì 21 aprile 2014

Il Bacalaureat francese


“Morlevent Siméon, promosso con 100/100”

Ma la maturità, servirà davvero a qualcosa nella vita?” - Questa frase probabilmente se la saranno posta milioni di ragazzi in giro per il mondo, timorosi delle prove che incontreranno.  Sicuramente arrivare alla fine delle scuole superiori rappresenta un percorso importante , e riuscire a prendere il diploma significa aver raggiunto un traguardo che per molti anni è sembrato distante e quasi impossibile.
Sappiamo bene com'è strutturato il diploma superiore italiano, ma cosa avrà passato il nostro protagonista per averlo superato in Francia?
L'esame di maturità francese si chiama “Baccalauréat” abbreviato spesso in “Bac”. Come in Italia, è necessario superare questo esame per andare all'università. Diversamente da qui, invece, questa prova è affrontata negli ultimi due anni di scuola. Viene sostenuta una prova alla fine della première (penultimo anno) per alcune discipline come francese, biologia, matematica e scienze. Poi, alla fine dell'ultimo anno, la terminale, viene fatto un altro esame sulle altre materie: le lingue straniere e tutti gli altri insegnamenti scelti dall'alunno. Secondo alcuni sondaggi, la media dei ragazzi che superano l'esame è molto più bassa rispetto altri paesi, circa il 63%; segno che sono prove molto approfondite e selettive.
Da pochi anni anche noi ragazzi italiani ( e qui al Liceo Pigafetta ne abbiamo una sezione dedicata) possiamo partecipare ad un programma di studi italo-francese: grazie all' EsaBac. Questo nuovo piano educativo consente agli allievi italiani di ottenere con un solo esame due diplomi contemporaneamente. EsaBac è l'insieme di due parole; Esa: Esame di stato Italiano e Bac: Baccalaureat. A partire dal terzo anno del liceo linguistico si approfondirà la lingua della letteratura francese, e non solo, verrà insegnata una materia non linguistica in lingua francese (ad esempio: storia o fisica), per poi essere verificata nell'esame finale, dove si prevede una quarta prova scritta sempre in lingua francese.


Petra Busatta

Eh dai...non fare la vittima!


"Innanzitutto,io non faccio la vittima" riprese Bart,imbronciato."Io sono una vittima"."Lei è una vittima?" ripeté la psicologa,pensando di aver trovato un buon filone.”

La vita a volte colpisce duramente. Ad ognuno di noi è capitato, e non solo da piccolo, di sentirsi vittima, bersaglio finale di comportamenti aggressivi, di circostanze negative, di intenti manipolatori, e di aver sentito un profondo senso di ingiustizia e di prevaricazione. Qualcosa o qualcuno ci ha spinti nell’angolo, almeno per un po’, e ci ha fatto dire: "Perché proprio io?".Il termine vittimismo significa la tendenza ad atteggiarsi continuamente a vittima delle circostanze o del mal volere altrui. Le cause del vittimismo possono essere l’imitazione del modo di comportarsi dei genitori, violazioni fisiche o psicologiche oppure essere trascurati dalle famiglie di origine. Il vittimista fa la vittima per avere un po’ di attenzione, affetto e protezione e quindi convincere gli altri a fare quello che vuole facendo diventare la vittima un vero e proprio tiranno. Ma il comportamento del vittimista può non influenzare le persone, perché spesso è molto evidente che quella persona vuole solo farsi vedere. Un esempio di vittimismo è presente nelle scuole, ed è molto diffuso, tanto che gli insegnanti se ne accorgono: ad esempio ci sono ragazzi che prendono sempre voti alti ma poi un giorno capita di prendere un voto brutto e quindi subito dopo iniziano a disperarsi, oppure altri ragazzi che cercano di mostrare che hanno problemi solo per avere attenzioni. Invece il vittimista dovrebbe iniziare ad affrontare i suoi problemi e non nascondersi, ma mostrare la propria maturità. E quindi io credo che il vittimismo e' una forma di soddisfazione e di piacere che un individuo prova nel suscitare negli altri un sentimento di pietà e pena verso il suo stato psicologico di disagiato, di maltrattato e di sofferente che non esiste, oppure viene posto in essere questo atteggiamento fittizio di sofferente al solo scopo di essere aiutati. Quando usiamo l'espressione:"e dai non fare la vittima" significa ,appunto, non recitare il ruolo di colui che ha ricevuto del male.

Aicha Rakib 

La tensione delle analisi


“Crederci. Non crederci più. Crederci ancora. Non crederci più di nuovo. Che giostra infernale!”



Le analisi del sangue che permettono di verificare la presenza di globuli rossi, globuli bianchi e di piastrine, si presentano come una vera e propria tortura. Da esse dipende il destino di un paziente, la quantità di fattori positivi e negativi è fondamentale. Durante le analisi il supporto di una persona cara, qualcuno che sappia come tirarti su di morale, funge di grande aiuto. Nella maggior parte dei casi un soggetto affetto di qualsiasi tipo di leucemia presenta sintomi comuni, quali la stanchezza, affaticamento dovuto ai molti processi ai quali sono obbligati ad essere sottoposti e febbre. Nel romanzo la parte di Barthélemy gioca un ruolo importante nella fase cruciale delle analisi, il quale però non troverà conforto, ne si darà pace durante la lunga attesa del risultato delle analisi stesse. Nel 50% delle possibilità la vita allenterà la presa sul paziente, fino a lasciarlo esanime, mentre nel restante 50% si tratta di una ripresa, una remissione, ovvero un’apparente distruzione delle cellule leucemiche. Nel mentre dell’attesa, gli animi sono in fervore. Non si sa se credere in una progressiva guarigione o se non credere più a nulla. Gli sbalzi d’animo sono frequenti. 

Beatrice Sgreva

martedì 15 aprile 2014

Sfortuna o superstizione?




“Capitolo 13: non esiste per non portare iella ai Morlevant.”

Con il termine superstizione si indicano credenze che possono influire sul pensiero e  sulla condotta di vita delle persone. La stessa credenza può avere significati differenti a seconda del luogo in cui ci si trova. Ad esempio in Inghilterra e in alcune regioni degli Stati  Uniti incontrare un gatto nero o trovarselo in casa è un segno di buon augurio, mentre  questo stesso animale nei paesi dell’Europa meridionale diventa un portatore di disgrazie   e successivamente bisogna difendersi da esso attraverso una serie di formule magiche   e di atti rituali. L’ uomo, infatti, sente il bisogno di difendersi dalle avversità con degli   amuleti portafortuna. Ad esempio il ferro di cavallo veniva attaccato sull’uscio di casa per  proteggere dal malocchio la famiglia che ci abitava.
Le scaramanzie più conosciute sono ad esempio quella di rovesciare il sale a tavola.   Questo atto porta sfortuna, ma portare dietro alla spalla sinistra un po’ di sale allontana il  malocchio. Secondo i superstiziosi anche passare sotto una scala e rompere uno specchio   porta sfortuna. Molte persone credono che il giorno venerdì 13 porti iella, probabilmente   perché si dice che molti eventi cristiani e storici come il massacro dei Cavalieri Templari,   l’ultima cena, la crocifissione di cristo etc siano accaduti di venerdì. Ma non tutte le   persone sono superstiziose e credono a queste scaramanzie.


Maria Vittoria Porro.

domenica 13 aprile 2014

Gli stereotipi

"le due giovani non avevano ancora affrontato il problema Barthelèmy.Non era per pudore,ma per prudenza,nessuna delle due sapeva cosa pensasse l altra dell argomento."Forse ha notato che il signor Monrlevant è,ecco,omosessuale?"Forse si...."





Il termine "stereotipo" significa "immagine rigida", ed il termine in origine rimanda al clichè tipografico, per questo chiamiamo "stereotipi" le idee ed i pregiudizi che sembrano fatti con lo stampino. Gli stereotipi non solo possono condizionare le idee di gruppi di individui, ma possono avere conseguenze anche sul modo di agire e sulla percezione individuale e sull’intera collettività. Molte volte, utilizzando lo stereotipo per valutare un individuo, non facciamo altro che utilizzare una scorciatoia mentale. Inquadriamo infatti quegli individui come prodotti preconfezionati, attribuendo loro caratteristiche basate sul gruppo etnico a cui appartengono, sulla corrente di pensiero che seguono o sulla loro inclinazione sessuale; arriviamo così a semplificare al massimo qualsivoglia caratteristica individuale cosi da poter inserirla nel più adatto modello predefinito. Tutto questo inevitabilmente conduce a ciò che viene definito pregiudizio, ovvero un’opinione che vale per tutti i soggetti che appartengono al gruppo preso in questione. I pregiudizi generati dagli stereotipi possono nuocere gravemente, spesso tutto ciò nasce dalla mancanza di conoscenza e di contatti personali non dovuti ad una mancanza di possibilità, piuttosto ad un assoluto rifiuto di ciò che forse non ci appartiene. La pubblicità ed i mass media hanno notevolmente contribuito (e contribuiscono ancora oggi) alla generazione di preconcetti infondati ed alla creazione di idee distorte. Il fenomeno al quale assistiamo da anni e il bombardamento di una serie di immagini che, inevitabilmente, ci conducono ad uno schema semplicistico della realtà ed all’imposizione di un pensiero che non ci è nostro ma al quale spesso non sappiamo opporci.

Remissione, una vittoria o una sconfitta?


“Si parla di <<remissione>> e di <<remissione completa>>, come in questo caso, quando l’analisi del sangue e del midollo non prestano più alcuna anomalia. Non c’è più differenza tra lei e Siméon”.


Remissione è un termine che deriva dal latino, e ha molti usi. Remissione, in medicina, con riferimento a un processo morboso, per indicare che la sintomatologia caratteristica, o anche un solo sintomo, non è più evidente, pur non essendo ancora superato il processo. La parola remissione non ha solo un significato medico ma anche religioso, probabilmente molti di noi hanno sentito almeno una volta la locuzione: remissione dei peccati. Nella religione cristiana la remissione dei peccati è il perdono, cioè l’assoluzione dei peccati da parte di Dio.

Non si può sapere se la remissione sia la fine o la continuazione; in molti casi di tumori si parla di remissione e si possono avere delle ricadute, e quindi se si avesse una ricaduta bisognerebbe ricominciare il ciclo di terapia.
In caso di tumori o cancri la remissione può anche durare diversi anni e quindi non si parlerà mai di guarigione perché, nel corpo del paziente, ci possono essere ancora cellule malate che non si vedono con le analisi. Più ci si allontana dal giorno in cui è il paziente è stato dato in stato di remissione più ci si avvicina alla guarigione.
La remissione è un passo importante nella cura di un tumore anche a livello mentale, una persona lo può affrontare come un piccolo ma importante passo, come una tregua dalla chemioterapia oppure le persone ansiogene potrebbero interpretare questa parola come una nuova ansia.


Tommaso Delpozzo

lunedì 7 aprile 2014

"Sii il migliore..."


“«Devi essere la prima dappertutto» le ricordò il fratello.
«Sì» disse Morgane, lo sguardo fisso in quello di Siméon.
«Mai un voto sotto al 9. Capito?»
«Capito»”


Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori, le nostre maestre e le persone a noi più care, ci hanno insegnato che, in una gara, “l’importante è partecipare”. Ed allora, perché ci si ritrova in un mondo dove l’umanità è materialista e dove vincere la competizione è l’unico modo per sopravvivere? Perché si trovano persone che, seppur conformate alla massa nel modo di comportarsi e di vestirsi, sono spinte a prevalere su tutti? Per qualcuno poi, l’importante non è solo vincere, ma l’eventuale potere che ne deriva.
Sono bugie quelle che ci raccontano i nostri genitori?
A queste domande spetta a noi rispondere; per cui dobbiamo imparare ad aprire gli occhi guardando le cose con giudizio critico e non con superficialità.
Comunque, fin dall’antichità, nelle competizioni di qualsiasi genere si cercava di vincere a tutti i costi. Già nell’antica Grecia, per esempio, i politici utilizzavano l’ostracismo, che attraverso il voto di un’assemblea di 6000 cittadini, permetteva di esiliare un avversario politico ritenuto pericoloso per la democrazia. Questa istituzione divenne però, diversamente dallo scopo per cui era stata creata, un’arma per eliminare i propri competitori in politica.
Riferendoci al presente, anche la nostra società si basa su concorrenza e competizione; la pubblicità, ad esempio, talvolta esalta con eccessiva enfasi un prodotto, fino a renderlo per ciò che non è.
Anche la scuola, promuovendo concorsi letterali, artistici, matematici e di ogni tipo, insegna indirettamente ai giovani il dovere di vincere e può favorire inconsapevolmente la creazione di persone che pensano soltanto ad apparire come la società le vuole, piuttosto che essere se stesse. Dobbiamo cominciare  a vivere più serenamente per essere soltanto noi stessi e non preoccuparci solo di piacere alla gente.
La verità è che se saremo capaci di essere ciò che siamo, senza condizionamenti e senza cercare di prevalere sugli altri, si potrà parlare di una società basata sulla pace. Sarebbe come questo un nuovo inizio.


domenica 6 aprile 2014

Il coraggio





"Barthélemy restó quindi con il fratello, scherzó con lui durante i preparativi poi gli appoggió la mano sul cranio nudo mentre gli infilavano l'ago nell'osso. Siméon non gridó. Bart non svenne. Fu come una vittoria conquinstata a due."

Il coraggio è una qualità che vorrebbero avere in molti, ma possiedono in pochi. Ma forse non è realmente così. Per coraggio la maggior parte delle persone intende quel tipo di coraggio che permette di fare azioni spericolate come il bungee jumping, il paracadutismo o il free climbing, ma esistono diversi tipi di coraggio e ognuno ne possiede un po’.
CORAGGIO SPERICOLATO: questo è il tipo di coraggio che spinge a fare azioni pericolose solo per il gusto di farlo, per sentire l’adrenalina che scorre nelle vene; è il tipo di coraggio spesso più ammirato nelle persone. Ma tra questo tipo di coraggio e l’idiozia c’è un confine sottile, buttarsi da una finestra al quarto piano di un hotel nella piscina non è un atto di coraggio, è pura stupidità. Non c’è niente di particolarmente coraggioso nel mettere a rischio la propria vita solo per farsi vedere.
CORAGGIO DI ESSERE SE STESSI: questo è il coraggio spinge a continuare a lottare per i propri sogni in barba a quello che dice chi ci sta intorno. E’ il coraggio che ognuno vorrebbe avere, quello che permette di essere felici e soddisfatti di ciò che si fa e di ciò che si è. La maggior parte dei grandi personaggi lo possiede o lo possedeva, hanno perseverato nel lottare e nell’esercitarsi e alla fine hanno raggiunto il loro sogno.
CORAGGIO DI AFFRONTARE LA REALTA’: questo è il tipo di coraggio che tutti possiedono anche se non in ugual misura. Nella vita si incontrano innumerevoli difficoltà, alcune più semplici e altre più complicate da affrontare, questo coraggio è quello che permette di alzare la testa e andare avanti, è quello che Bart mostra in “Oh Boy!” restando accanto al fratello malato mantenendo viva la speranza. E’ il coraggio che dice di andare avanti e accettare ciò che accade, senza rimanerne sopraffatti.
CORAGGIO ALTRUISTICO: questo è il coraggio che porta una persona a ergersi in difesa di un’altra, a fare il possibile per aiutare chi gli sta accanto e tutte le persone in generale. E’ il tipo di coraggio più gratificante, quello che fa essere felici nell’aver aiutato e reso felice qualcun altro. E’ il coraggio di coloro che hanno cambiato la storia, come Martin Luther King o Ghandi. Loro si sono messi in gioco per il bene comune e senza arrendersi mai hanno permesso a migliaia di persone di ottenere la libertà e la felicità.
Tutti possiedono un po’ di coraggio, qualcuno più di un tipo, qualcuno più di un altro, ma ognuno di questi è importante, non dimenticatelo mai.
“Il punto non è non avere mai paura. Questo è impossibile. E’ imparare a controllare la paura e a non esserne condizionati. E’ questo il punto.” cit. Divergent – Veronica Roth

Martina Panato

La donazione del sangue


Entrarono in una stanza in cui c'erano già due donatori seduti in poltrona, con le braccia abbandonate sui braccioli.


La donazione del sangue

La donazione del sangue è quell'azione di un singolo individuo che, volontariamente, si priva di una determinata quantità del proprio sangue o di suoi componenti, affinché venga utilizzata a scopi medici. La quantità di sangue prelevato e le modalità possono variare; infatti, la raccolta può avvenire con attrezzature apposite o semplicemente con un deflusso dopo una puntura venosa.
Normalmente, si ha bisogno di 40 unità di sangue l'anno ogni 1000 persone, ciò equivale a circa 2 400 000 unità solo per la piccola Italia. Il fabbisogno di donazioni è costantemente in aumento e le cause più attendibili sono due: l'aumento dell'età media della popolazione e i progressi della medicina, che rendono possibili interventi anche su persone anziane, cosa che nel passato non poteva accadere.
Le condizioni necessarie per essere un donatore sono l'età, compresa tra i 18 e i 65 anni, la massa, uguale o superiore ai 50 chili, le pulsazioni, la pressione arteriosa, un buon stato di salute, non seguire comportamenti a rischio e non avere vissuto nel Regno Unito tra il 1980 e il 1996.
Il numero di donatori di sangue in Italia è 1 600 000, cioé il 2,9% della popolazione totale. L'autosufficienza nazionale è stata garantita fin dal 2003 attraverso trasferimenti tra regioni.
In Italia, l'associazione che si occupa delle donazioni di sangue è l' Avis (Associazione Volontari Italiani del Sangue), è costituita da oltre un milione di volontari che donano gratuitamente, volontariamente, periodicamente e anonimamente; quest'ultimo punto per evitare discriminazioni del sesso, dell'età, della razza e della religione. E' un'associazione presente in tutto il territorio nazionale con una struttura ben articolata, è suddivisa in tremila sedi comunali, provinciali e regionali,comprendendo anche la sua sede ufficiale;inoltre sono attivi 733 gruppi Avis sopratutto nelle aziende pubbliche e private.
Gli obbiettivi di questa organizzazione sono venire incontro alla crescente domanda di sangue, donare gratuitamente sangue a tutti senza discriminazioni, lottare per eliminare la sua compravendita e avere donatori pronti e controllati dal punto di vista sanguigno e di salute generale.
E' lodevole il gesto di tutte queste persone che,volontariamente e sopratutto gratuitamente, con un piccolo gesto contribuiscono a salvare vite umane.

 Vanessa Frigo

Farmaci? No grazie!



“Andò in bagno, aprì il mobiletto dei farmaci, prese le garze e urtò una confezione dei medicinali che cadde nel lavandino. Era il Valium che aveva dato ad Amanda. Ebbe un brivido lungo la schiena. Prese la scatola ed ebbe un gesto di sorpresa nel tirare fuori i tre blister. Non mancava nemmeno una compressa.”

In medicina con la definizione di psicofarmaci si identificano tutti quei farmaci sintetizzati in laboratorio e che agiscono sul sistema nervoso centrale. Tipicamente sono impiegati nella cura psichiatrica dei disturbi mentali o psicopatologici, gli psicofarmaci vengono prescritti dai medici e/o dallo specialista psichiatra, mentre lo psicologo psicoterapeuta non può prescriverli, ma gli è possibile inviare il paziente alla consulenza con lo specialista psichiatra per una collaborazione.
Solitamente le persone a cui vengono prescritti questi farmaci hanno notevoli problemi a gestire la propria stabilità emotiva e presentano sintomi come:
Ø  Deliri;
Ø  Allucinazioni;
Ø  Depressione;
Ø  Attacchi di panico improvvisi;
Ø  Ansia;
Ø  Stati confusionali e dissociativi;
Ø  Sbalzi d’umore;
Ø  Disturbi del sonno;
Ø  Disturbi di personalità.
In Italia, dal 2001 al 2009, il consumo di psicofarmaci tra la popolazione è aumentato del 114,2%, un numero significativo anche se di dimensioni ancora contenute rispetto, per esempio, agli Stati Uniti, dov’è più facile accedere agli psicofarmaci anche senza un percorso sanitario alle spalle. Nel 2011, oltre undici milioni di persone ne hanno fatto uso. In particolare, circa 5 milioni sono ricorsi a tranquillanti e ansiolitici e di questi più di 3 milioni sono donne sopra i 45 anni o anziani sopra ai 75 anni, anche se il consumo tra gli adolescenti è in crescita e non è da trascurare.
Per ogni tipologia di nevrosi lo psichiatra specialista, se lo ritiene opportuno, prescrive una dose, giornaliera o settimanale che sia, di psicofarmaci per evitare l’abuso e l’insorgere di effetti collaterali indesiderati.
Infatti l’abuso o l’errata assunzione di psicofarmaci può danneggiare, a volte anche fatalmente, l’organismo attraverso una serie di controindicazioni che possono portare ad una riaccensione dei sintomi o ad una vera e propria intossicazione. Gli effetti collaterali variano in base alla funzione del medicinale, ma i più frequenti sono la dipendenza, la variazione della pressione sanguigna, l’alterazione delle ore di sonno, l’eccessiva stanchezza, la pesantezza degli arti, la diminuzione di globuli bianchi, la disinibizione sessuale, la perdita di memoria, la nausea, la debolezza e l’alterazione della realtà. In alcuni casi queste controindicazioni possono portare alla morte.

Vagrotelli Anna

venerdì 4 aprile 2014

Francia, olive e dintorni: la Tapenade


“Tol mondo fratelo” cominciò Mike guardando le due sorelle. “Dio ama lo mondo”.
“D'accordo” fece Bart. “Ma tu ami la tapenade?”
“Do you like tapenade?” tradusse Morgane.


Olive nere, di tipo provenzale o ligure, filetti di acciuga dissalati, capperi, succo di limone, olio d'oliva e pepe. Questi sono gli ingredienti per preparare una buona tapenade, una salsa di origine occitana che ancora oggi è uno tra i piatti tipici provenzali. La tapenade è una salsa che può essere servita da sola, su dei crostini, o come condimento per carne o pesce. La sua preparazione è molto semplice, basta mettere tutti gli ingredienti in un mortaio, un utensile spesso in legno d'ulivo, composto da una scodella e da un “pestello”, e appunto “pestare” insieme tutti gli ingredienti, finché non si ottiene una pasta omogenea. Il suo nome deriva dall' occitano “tapenas”, che significa capperi. L'Occitania è una regione storico-geografica della Francia meridionale, corrispondente all' attuale regione dei Midi-Pyrénées, di cui si trova una minoranza linguistica anche in Calabria. In particolare, la tapenade proviene dalla provincia della Linguadoca (in francese languedoc) dove si coltivano le olive nere, le cosiddette “taggiasche”. Furono molto probabilmente i Fenici a portare le olive in Francia, così come in Grecia, in Italia ed in Spagna, ma la loro coltivazione si è sviluppata enormemente con l'espansione coloniale greca. Secondo le fonti storiche già nel 500 a.C. le olive erano coltivate in tutto il bacino del Mediterraneo. L'importanza delle olive e dei loro derivati presso le civiltà del Mediterraneo era tale che, secondo la legge, chiunque avesse tagliato un ulivo sarebbe stato a sua volta condannato a morte. Anche il grande storico greco Tucidide nel V secolo a.C. ne elogia le qualità dicendo: “i popoli del Mediterraneo erano usciti dalle barbarie quando avevano imparato a coltivare l’olivo e la vite”.

Francesca Visentin

mercoledì 2 aprile 2014

Piccoli vizi quotidiani



<<Mi scusi.>>  disse Laurence. Apri la borsa e tirò fuori la sua tavoletta di cioccolato e, per la prima volta nella sua vita, cedette pubblicamente al suo vizio segreto. “

   
Tutti noi abbiamo un’abitudine o una piccola mania della quale non possiamo fare a meno: dall’attorcigliare i capelli al dire bugie ‘innocenti’.
   In questo caso Laurance soffre di una leggera dipendenza di zuccheri, e in speciale modo di cioccolato fondente. Secondo gli specialisti questo fenomeno nasce dal bisogno di sentirsi appagati: tutto dipende da una sostanza chiamata dopamina, che è considerata la molecola della dipendenza. Essa, infatti, viene rilasciata nel nostro cervello ogni volta che facciamo qualcosa che ci appaga. 
 I vizi più comuni tra i giovani sono il mangiarsi le unghie (onicofagia), toccarsi i capelli, sputare, dire piccole bugie senza un motivo, fumare, mangiare eccessivamente, ecc.
 In generale questi tic o addirittura ossesioni  sono dovuti allo stress. È scientificamente dimostrato che i giovani che hanno problemi di tipo sociale e/o familiari sono più influenzati a prendere in mano la sigaretta o a mangiare in eccesso. Sfortunatamente  la gioventù sviluppa dipendenze non solo per il sovraccarico emozionale e psicologico, ma anche per tendenza o moda, per non distinguersi dalla massa. Quando invece l’abitudine è più persistente, si può parlare dell’  “Ossessione Maniaco-Compulsiva”


Gabriela Ciobanu

I bambini e i loro "perchè?"


–Ken non ha il pisellino nelle mutande, non so perché – si chiedeva Venise svestendo la bambola. – Tutti i maschi ce l’hanno vero ? Bart ne ha uno grande grande. L’ho visto nella sua camera. E François ? Tu gliel’hai visto il suo pisellino?- ”
La curiosità, un desiderio di sapere e di conoscere che ha sempre caratterizzato il genere umano. Desiderio che lo ha portato alle conoscenze che oggi tutti noi condividiamo. Ma quando nasce la curiosità? E come? La curiosità nasce con la vita, quando i bambini sono alle prese con la scoperta del mondo. Un mondo nuovo pieno di novità, meraviglie …. curiosità. Chissà quali domande sorgono nella testolina di un infante di pochi mesi, la cui capacità di parola non è ancora sviluppata. Non lo sapremo mai, ma non appena questo si dimostra in grado di formulare una frase, ecco che possiamo constatare la ricorrenza di una semplice parola : PERCHE’ ? A quali genitori non è mai capitato di affrontare lunghi discorsi cercando di spiegare tutti i perché del figlioletto ?
-  Papà, perché non posso giocare fuori ? –
-  Perché piove –
-  E perché piove ? –
-  Perché ci sono tante nuvole –
-  E perché ?
-  Perché le spinge il vento –
-  E perché ? –
-  Beh … non lo so –
-  E perché non lo sai ? –
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che la “ fase dei perché” caratterizza tutti i bambini dai due ai tre anni, e persiste durante la crescita trasformandosi fino ad arrivare al semplice interesse. Questa fase è appunto il frutto di un passaggio importantissimo nella crescita del bambino, egli decide infatti di vivere attivamente la vita, non limitandosi ad osservarla, ma capendola. Il piccolo cerca appunto di capire la realtà, scoprirla, darle un senso, un’interpretazione. Sapere gli dà una sorta di sicurezza, perché non conoscere qualcosa significa in qualche modo averne paura. Pensiamo alle profondità marine o allo spazio sconfinato, luoghi che noi nemmeno osiamo sognare. Cosa ci aspetta in quegli spazi remoti? L’inconsapevolezza, il mistero, sono tutti fattori che ci inducono alla paura. L’età ci insegna a scivolare sopra alcune incomprensioni, a non farci caso, ad andare avanti. Ma l’approccio di un bambino con i problemi è totalmente frontale, e questo lo induce ad un solo ed unico modo per affrontarli, il “perché ?”. Ancora più importante è che i genitori assecondino le aspettative del bambino, soddisfacendole. Quale delusione più grande per un bambino se non lo scoprire che il fortissimo papà o l’ incredibile mamma non conoscono qualcosa? I genitori sono, e almeno in una prima fase sempre saranno, i grandi eroi dei più piccini. Riguardando i temi della prima o seconda elementare, tutti troveranno un testo dove parlano del loro papà come un supereroe fortissimo e della loro mamma come una donna bellissima ed intelligentissima. Per questo è importante dare delle sicurezze ai figli.  Un giorno si renderanno conto da soli che i loro genitori non sono perfetti e, purtroppo, più in fretta di quanto si creda. È dunque importantissimo che i genitori prendano sul serio la fase dei perché, comportandosi come la fonte di sapere e sicurezza che desiderano i figlioletti. Le domande di un bambino possono essere di vari generi:
Di tipo fisico: perché l’ombra ci segue? Perché non posso respirare sott’acqua? perché il cielo è blu ?
Sono le più facili a cui rispondere, basta avere un po’ di fantasia.
Di tipo astratto: che cos’è l’amore ? Perché le persone muoiono ? Dove vanno le persone quando muoiono ?
Sono domande più difficili, alle quali bisogna stare attenti, e soprattutto bisogna far capire al bambino che è troppo piccolo per conoscere la risposta.
Di tipo imbarazzante : come nascono i bambini ? Perché ho il “pisellino” ? Perché ho la “patatina” ? Perché le donne hanno le “tette” ?
Queste sono le domande che mettono più alla prova i genitori. Innanzitutto è importantissimo dare il giusto valore alla sessualità e non sminuirla davanti al bambino, ma soprattutto cercare di generalizzare e non spaventarlo inutilmente. È inoltre importante anche il modo in cui si risponde alle domande, usando metafore, esempi semplici e concreti, e inoltre bisogna guardare negli occhi il bambino, perché non si accontenterà di una risposta data mentre il papà guarda il telegiornale o mentre la mamma stende il bucato.
E’ quindi di fondamentale importanza sostenere la curiosità dei bambini, e accompagnarli alla scoperta del mondo pur sempre rispettando l’ingenuità e l’inconsapevolezza con la quale i loro occhi guardano ciò che li circonda.


Anna Cazzavillan